LARDO E PANCETTA

Una tradizione di gusto antica di 2000 anni.

Addentrandosi in un querceto delle terre d’Abruzzo, non più di 2000 anni fa, non sarebbe stato raro imbattersi in un esemplare del maiale nero che, noto fin dall’epoca romana, era parte di un mondo contadino che lo rese protagonista non solo della propria tavola, ma anche di miti e leggende del folclore locale.
Anche se spesso si tratta di un dato trascurato, non tutti sanno che l’originaria stirpe dei suini,
su tutto il territorio italico, era caratterizzata dal colore scuro, pur con alcune distinzioni maturate nei differenti territori di stabilizzazione: alcuni esemplari erano infatti cintati, altri macchiati o privi di setole, ma tutti appartenevano ad un’unica razza originaria, quella del maiale nero.

Probabilmente doveva trattarsi di un animale importato dai romani in seguito alle conquiste dei territori orientali, poi inselvatichitosi grazie a ripetuti incroci con cinghiali allo stato brado. Le terre abruzzesi, e gran parte del meridione della penisola, si popolarono dunque col tempo di animali dal mantello nero o color ardesia, con setole ispide e grandi orecchie pendenti sugli occhi, che pascevano indisturbati nella florida campagna italica.

Per secoli, l’Abruzzo ha custodito il maiale nero, per secoli esso ha rappresentato un punto fermo nel panorama dell’allevamento e della cultura alimentare fino agli anni 60, fase in cui la suinocultura intensiva ha finito per privilegiare il maiale bianco, dalla crescita più rapida e l’alimentazione più economica e maggiormente predisposto all’allevamento in batteria.

Il maiale nero d’Abruzzo sembrava ormai condannato all’estinzione non essendo adattabile ad una produttività industriale. Invece oggi rinasce con tutta la genuinità della razza antica e un innovativo metodo di allevamento.

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